Etnografia lampo dentro un palazzo di Porta Palazzo

In questo tentativo di etnografia lampo cercherò di raccontare la storia e la vita dietro la facciata di un palazzo vicino a Porta Palazzo, nella città di Torino.

Il palazzo è ubicato da più di 120 anni a poche centinaia di metri da Piazza della Repubblica, su Corso Giulio Cesare. Ora ho appena iniziato a viverci.

La notte tra il 12 e il 13 luglio 1943 Torino fu colpita da una delle più violente incursioni aeree portate avanti dall’aviazione inglese per colpire i nazisti e i fascisti che avevano occupato il nord Italia e stavano vendicandosi contro i partigiani. Sulla città cadono 763 tonnellate di bombe in poco più di un’ora e provocano la morte di 792 persone e ingenti danni a edifici, infrastrutture e stabilimenti industriali. Il tetto e l’ultimo piano del nostro palazzo vengono distrutti, forse dal fuoco. La ricostruzione avverrà nel dopoguerra.

Le prime persone che conosco durante il trasloco sono solo famiglie migranti di origine rumena, oggi 28 dicembre 2019 incontro per la prima volta Concetta, un’italiana di circa 70 anni che affitta un’appartamento al primo piano da più di 50 anni.

La saluto mentre sto legando la bicicletta e mi presento come nuovo condomino del quinto piano; lei ricambia e mi consiglia di legarla alle grate del vicino garage interno perchè capita spesso che rubano le biciclette. Poi iniziamo a parlare e indicandomi uno scooter mi dice che lei sospetta sia veicolo rubato visto che è tanto tempo sempre lì, in quella posizione.

Lei faceva le pulizie del palazzo e da circa due anni ha passato le sue funzioni a Maria, una signora rumena che vive al quarto piano, sotto di me. Concetta, con il suo accento calabrese, mi racconta che prima il palazzo era abitato da italiani ma ora lei è l’unica rimasta. Una signora anziana del secondo piano si è appena trasferita dai figli perché non riusciva più a fare le scale. L’ascensore non è stato ancora deliberato.

Concetta oggi si trova in un palazzo i cui condomini sono prevalentemente rumeni, poi vi è una famiglia cinese al quarto piano e una peruviano che, mi ha raccontato Florin, fanno molta festa e sono gli unici che ogni tanto disturbano.

Concetta mi dice che comunque in questo palazzo non ci sono mai stati bisticci anche se, da quando i negozi sono stati venduti a stranieri del sud est asiatico, il cortile non è più in ordine come una volta. Il vecchio amministratore e proprietario dell’edificio, sebbene abbia riempito la mia cantina di cimeli inneggianti il fascismo, la chiesa di Roma e qualche santo minorenne, era molto attento e presente, ora la nuova amministratrice non si fa mai vedere e lei vorrebbe almeno una riunione all’anno, per poter parlare dei nuovi problemi con “quelli dei negozi”. In quel momento arriva Adrian, marito di Maria. Il suo sguardo è stanco, è sabato pomeriggio e appare vestito da muratore. Concetta dice che assieme ad Adrian le piante e i fiori del cortile sono sempre curate. Adrian sale le scale perchè vuole andare a riposare; anche noi poco dopo ci salutiamo rimanendo d’accordo che presto solleciteremo ufficialmente una riunione. Concetta esce dal palazzo, io mi incammino verso l’ultimo piano.